La Storia

Solo i veri grandi artisti non invecchiano, perché sono capaci di rinnovarsi e inventare nuove forme, nuovi colori, invenzioni genuine.

Così scrive Alberto Martini nella sua autobiografica Vita d’artista (1939-40), aggiungendo che: “…l’invenzione genuina risulta incomprensibile a chi non ha senso dell’eroico. Pochi privilegiati la possono intuire, gli altri, impotenti, con maligne arti la combattono. In questo caso si tratta di oscurantismo…”. Queste poche righe riassumono la delusione e l’amarezza dell’artista nei confronti dell’avversa, o quanto meno indifferente, critica italiana che, a partire dagli anni Trenta, non vuole, o non sa, riconoscerne l’originalità e l’autonomia creativa. Probabilmente gioca a sfavore dell’artista anche la difficoltà da parte degli studiosi di ricondurne l’operato ad uno specifico ambito espressivo. Martini stesso ribadisce che la sua arte “vera” non ammette etichette, anzi: “Volta a volta […] sono simbolico, romantico, macabro […]. Fui e sono a volte verista a volte surrealista, come tutti i veri artisti del passato”.

A parte il saggio di A. Belloli, una certa incomprensione pare minare la fortuna critica dell’artista anche dopo la sua scomparsa, avvenuta l’8 novembre 1954. Non compaiono infatti altri contributi critici significativi fino all’intervento di Giuseppe Marchiori sul catalogo della mostra antologica che Oderzo finalmente dedica al grande maestro opitergino nel 1967. La manifestazione, patrocinata dal Comune e proposta da Arturo Benvenuti, segna idealmente l’atto di nascita della Pinacoteca anche grazie alla prima preziosa e significativa opera ricevuta in dono dalla vedova Maria Petringa: l’Autoritratto (1911).

Qualche anno più tardi altri 80 pezzi vanno ad unirsi al primo e, nel 1970, l’Amministrazione Comunale istituisce ufficialmente la Pinacoteca Alberto Martini che trova sede provvisoria presso il Municipio.
Altri lasciti piuttosto cospicui (ancora Petringa, poi Anderloni e Tischer, eredi Martini) contribuiscono quindi a incrementare la collezione che oggi conta 700 opere, mentre vengono promosse nuove pubblicazioni curate da Arturo Benvenuti, Giuseppe Marchiori, Paolo Bellini, Marco Lorandi; si arricchisce la bibliografia martiniana e si organizzano mostre monografiche sull’artista. Contemporaneamente vengono acquisite anche opere di altri pittori (tra cui Giuseppe ed Enrico Vizzotto Alberti, Giulio Erler, Ciro ed Eugenio Cristofoletti, Armando Buso, Gina Roma) che daranno vita alla Galleria dei pittori opitergini. Dal 2008, in seguito ad un ulteriore arricchimento di opere, la sezione si trasforma nell’attuale GAMCO – Galleria Arte Moderna e Contemporanea Oderzo.

In seguito (1974) la Pinacoteca trova sede al piano nobile del Palazzo di Via Garibaldi oggi Biblioteca Comunale fino a quando, nel 1994, la collezione passa alla sede attuale: l’ultimo piano di Palazzo Foscolo.

Al termine del mandato di Arturo Benvenuti, la direzione dell’ente passa a Gina Roma che avvia la catalogazione del patrimonio iconografico martiniano e concepisce la prima delle quattro fortunate edizioni della Biennale Nazionale di Incisione intitolata al maestro opitergino. Le attività di schedatura e studio martiniani proseguono poi sotto la guida di Roberto Costella, sostenitore, tra le altre iniziative, dell’istituzione della citata Galleria dei pittori opitergini e dell’acquisizione del fondo dell’artista opitergino Tullio Vietri. Le attività di ricerca, valorizzazione e tutela delle opere di Martini continuano quindi con Cristina Pillitteri per passare, infine, all’attuale gestione.

La Sede

“… In detto Palazzo è tutto modello”, annotava nel 1713 l’accurato storiografo di Oderzo Francesco Daniotti Sanfiore a proposito dell’imponente edificio che, in “… preggio di bellezza e di valore”, senz’altro sopravanzava “qual si voglia altro d’Italia”. Lo studioso descriveva poi gli interni di Palazzo Foscolo con dovizia di particolari: “… Campeggiano due bellissime salle adorne di nuovi e figurati quadri, bellissime stanze guarnite di quei arredi che veramente si richiedono, vedesi quattro poggi marmorei, due sopra la via e due sopra il cortile qual è adornato di bellissime statue di marmo con i suoi geroglifici, frammischiate con vasi di rame dorati e dentro vi sono Aranci e Limoni, di poi si vedono due fonti quali gettano acqua in molti modi, si vede Peschiera con quantità di pesci di molti sorti, cedrera, uccelliera, due Barchesse una adorna di bellissime pitture tutte historie, dippoi ameno giardino con Labirinti, fortissimi e spaziosi broli…”

Dal punto di vista architettonico l’edificio, costruito nel XVI secolo per Alessandro Contarini, presenta ancora le caratteristiche tipiche della villa veneta del Cinquecento: facciata tripartita, finestroni ad arco al piano nobile, elemento centrale con loggia balaustrata sia sul prospetto anteriore che su quello posteriore, grande atrio passante al piano terra che diviene salone ai due piani superiori ai quali si accede da una scala ricca di stucchi di stile sansoviniano, opera attribuita a Alessandro Vittoria (Trento 1524 – Vicenza 1608), insieme alla teoria dei portali del primo piano.

Il palazzo, come ricordava Daniotti Sanfiore, era dotato originariamente di un giardino con labirinti adorno di statue, di una peschiera e di due barchesse laterali. Una delle due, quella più ricca di dipinti, fu distrutta probabilmente nei primi anni del 1800 ad opera dei francesi, mentre l’altra, recuperata grazie ad un oculato restauro, ospita attualmente il Museo Archeologico “Eno Bellis”. Dai Contarini il palazzo passò ai Condulmer e quindi a N.H. Daulo Augusto Foscolo, rimanendo di proprietà di questa famiglia fino alla scomparsa della contessa Anna Foscolo, nel 1942. Nel tempo l’edificio cambiò ancora molti proprietari e destinazioni passando così da casino di caccia a casa di campagna, a palazzo signorile, a sede di istituti pubblici e religiosi; nel corso della Prima Guerra Mondiale, inoltre, le sue sale ospitarono i comandi militari.

A proposito degli elementi architettonici e decorativi gravemente compromessi dall’uso improprio del palazzo, Andrea Moschetti scriveva così nei suoi Quaderni sui “Danni ai Monumenti ed alle opere d’arte nelle Venezie nella guerra 1915-18”: “Bellissimo è il Palazzo Foscolo […] Inevitabilmente il vandalismo soldatesco ne ruppe, forse ne rubò, [le] teste [delle statue] e ne spezzò i fregi: più, ad alcuni tratti, fu data sopra una tinta…”.
Poi, a proposito delle cornici scolpite e dorate dei soffitti e delle trabeazioni adorne di dipinti con ritratti di uomini illustri risalenti al sec. XVI, Moschetti aggiungeva che furono “…percosse a mazzate e in parte abbattute e schiantate” le prime, e i dipinti trafugati. Ciò che era rimasto, infine, “…fu demolito e disperso dopo la Guerra, per poter dividere le grandi stanze e ridurre il Palazzo ad appartamenti da affitto […] Infine nel giardino le statue cinquecentesche, disposte in duplice fila su alti piedistalli, furono tutte abbattute o per lo meno decapitate. Non una si salvò dalla rovina…”.

Nel dopoguerra il piano nobile divenne sede dell’Istituto Magistrale, ecclesiastico e musicale; l’ultimo piano, invece, fu diviso in appartamenti.
Nel 1974 un grave incendio ha poi colpito l’edificio, causando danni ingenti al tetto e ai solai del secondo piano, nonché la perdita di molte delle sopravvissute cornici sette-ottocentesche che ornavano le sale del primo piano, minando pure i bellissimi decori a stucco dello scalone e del piano nobile. Un restauro accurato, tuttavia, avviato tra il 1983 e il 1988, ha permesso di ovviare a questo pericolo recuperando inoltre, insieme ai preziosi ornamenti, parte della struttura originaria dell’edificio.

Di proprietà del Comune di Oderzo dal 1978, dall’estate 1994 l’ultimo piano di Palazzo Foscolo ospita la Pinacoteca dedicata ad Alberto Martini (1876-1954). L’edificio, inoltre, accoglie annualmente il Premio di Architettura della Città di Oderzo, e significative esposizioni d’arte, rassegne di architettura e design, convegni, incontri culturali e concerti.